ALCUNI
SCRITTI DI GAETANO FERLAZZO
1)
Gaetano Ferlazzo, nato a Montagnareale (Messina) il 19-2-1918, sin dalla
tenera fanciullezza temprato per necessita’ di cose sotto la ferrea
guida dei propri genitori ad un arduo inadeguato tenore di vita nell’affrontare
giocoforza ogni umile immaginabile lavoro dei contadini di quell’epoca,
ossia totalmente immersa nella squallida miseria cui la storia ne fa tutt’ora
eloquente testimonianza. Ha partecipato attivamente alla seconda guerra
mondiale: fronte Greco Albanese, scorta alle Tradotte Militari nei Stati
Balcani in qualità di Capo mitragliere ed infine due anni di prigionia
nei Campi nazisti della Germania ove in seguito ad inique ed inaudite
sopraffazioni di ogni genere, perché adibito al lavoro coatto nelle
officine per carri armati a Berlino e sgombero delle macerie causate dai
bombardamenti, estremamente provato di certe innarrabili ostiche vicissitudini,
nel Settembre del 1945 ha fatto miracolosamente ritorno in Patria, nel
1947 arruolatosi nel Corpo della Polizia con sede a Genova, in data 4
Dicembre 1971 collocato in congedo ed avendo fatto ritorno a Patti con
la propria famiglia, in parte ha ripreso ad accudire forse ostentatamente
alla coltivazione della propria campagna. Ritornando indietro nel tempo
ed riassumendo in sintesi biografica il cammino della sua vita, si sottolinea
che in seguito al sentire scaturire nell’animo suo un genuino sentimento
sempre progressivo per le Belle Arti in genere, dal 1° Gennaio 1965
ha iniziato nelle ore libere dal servizio in Genova a dipingere a olio
con sensibile impulso costante ed incommensurata passione. Attualmente
sottraendo saltuariamente alcuni momenti in cui si sente l’animo
un po’ sereno alle molteplici faccende quotidiane inerenti specialmente
alla campagna , continua a dipingere con ineffabile gioia ed amore inflessibile.
Sovente ricorda con animo mesto la malebolge dei lager della Germania,
rammenta i compagni delle stesse baracche che purtroppo meno fortunati
di lui dovettero dolorosamente piegare la loro giovane vita alla cieca
spietata efferatezza nazista, e quindi pur essendo tutti accumunati dallo
stesso prezioso ideale di quel fulgido instancabile amore per la Nostra
Patria, il comprensibile anelito per la propria terra ed riabbracciare
ancora una volta nel contempo i propri cari, essi invece sono rimasti
la’ in terra teutonica a testimoniare con il loro olocausto quelle
indicibili sofferenze sovrumane cui li condussero all’estremo sacrificio
con l’inestinguibile sete di sublime abnegazione sulle labbra di:
Evviva L’Italia Bella.
Gaetano Ferlazzo
2)
Il sottoscritto Ferlazzo Gaetano App. di P.S. in pensione, abitante in
Patti (Messina) Contrada Sisa 12, nato a Montagnareale (Messina) il 19-2-1918.
Da soldato ho partecipato con la Div.ne Modena alla guerra sul fronte
Greco Albanese, mentre in seguito alla cessazione di quelle locali ostilità
avvenuta il 21 Aprile 1941,sono stato adibito in qualità di capo
mitragliere alla IV. Base scorta alle Tradotte Militari negli Stati Balcani
da Mestre ad Atene e viceversa. Frattanto ritengo cosa superflua fare
un parziale riferimento alle squallide vicissitudini comprese nel contempo
di onerose responsabilità incontrate attraverso la Iugoslavia nel
costeggiare il Sava, Croazia, Albania, Ungheria, Bulgheria e Grecia nella
solerte scorta di materiale da guerra e Truppa di ogni grado.
Infatti, per fare obbedire in quei frangenti la mia coscienza alle proprie
responsabilità, voglio precisare solamente con l'animo scevro di
qualsiasi presunto eventuale pregiudizio di sciovinismo sul mio conto
che, l'ultima mia Tradotta scortata insieme ad alcuni miei compagni costituita
esattamente da 7 vagoni di fusti di benzina con partenza da Mestre il
13 Agosto 1943, è giunta alla destinazione di Salonicco sana e
salva solo ed esclusivamente per me, in quanto già fermi per 20
ore circa inchiodati in un piccolo paese di cui non ricordo il nome tra
Rum, Mitrovic o Pristina, ossia in una delle famigerate zone di Karlowac
prevalentemente infestate da partigiani del Gen. Tito, se non fosse stato
per la mia fulminea azione ,il convoglio di cui sopra era destinato ad
una totale conflagrazione con immani conseguenze compreso l'inevitabile
coinvolgimento di vite umane. Non voglio parlare oltre al disastro del
ponte di Lubiana, quello di Lamia in Grecia o quello dell'Aprile 43 sotto
la galleria di Larissa dove abbiamo perso circa 380 Militari carbonizzati
vivi di cui 100 tedeschi ove i partigiani avevano predisposto i congegni
esplosivi ad azione di orologeria.
Prima di concludere dal continuare il mio coerente assiomatico discorso
nel riassumere alcune circostanze salienti della mia odissea trascorsa
nei lager nazisti della Germania , e cioè Catturato dai tedeschi
a Belgrado nei pressi del Danubio
L’8 Settembre mentre si era di ritorno da Salonicco nell’ultimo
fatidico viaggio insieme ad alcuni compagni della scorta e tradotti in
un primo tempo nel campo di concentramento di smistamento Luchenwalde
in attesa di ulteriori destinazioni ove eravamo un grosso contingente
di circa 31000 militari di ogni grado compresi alcuni Generali.
Difatti, durante l’arduo ed estremamente doloroso periodo della
mia prigionia durata circa due anni, principalmente sono stato in altri
quattro lager a Berlino III D e precisamente Rudolf, Briz ,Falchensè,
e Bansehwalde , prevalentemente per antonomasia affidati a spietati nazisti
di ogni età. Tanto per fare menzione in una minima parte di angosciosi
incredibili episodi ed amare circostanze , la sera del 2 Dicembre 43,
tempestati quasi sempre di schiaffi, sputi in faccia e umilianti spintoni,
durante un bombardamento da parte degli Americani con un violento calcio
mi è stata provocata una lancinante lesione all’osso sacro
che tutt’ora non nascondo di risentirne parziali strascichi dolorosi
specialmente quando cambia il tempo. Da qui trasferiti nel campo di Briz
che è stato improvvisato sotto grandi tende ed in preda ad una
fame che ci mordeva il cervello, ammalatomi con bronchite asmatica febbrile,
come di consueto insieme ad altri chiedetti visita pressoché gravi,
dalle ore 7 alle 10 ora in cui venne un Maggiore Medico Francese anch’egli
prigioniero ,siamo stati messi fuori sulla neve all’inclemenza del
tempo facendoci formare un grande cerchio ed obbligandoci a girare con
le mani al torace sotto le implacabili sferzate per la durata di tre lunghe
ore, le quali belve di sembianze umane si alternavano i turni, stante
ché tale punizione veniva inesorabilmente applicata dalla gestapo
per far si che indiscriminatamente non vi fossero dei chiedenti visita.
In un successivo trasferimento del nostro contingente nel campo di Falchensè
e precisamente a pochi metri di un altro campo di detenuti politici internazionali,
nella prima adunata mattutina di inquadramento davanti alle proprie baracche
per accompagnarci a due chilometri circa nelle officine di carri armati
Alhett , ove siamo stati in seguito adibiti, nel fare presente come dicevo
poc’anzi il proprio stato di accentuata malattia febbrile, sono
stato scaraventato per terra davanti a tutti, calpestato con odiosa virulenza
con gli stivali sullo stomaco, petto ed in faccia; a questo punto umiliato
mi dovetti giocoforza rialzare ed andare ed andare in fabbrica insieme
agli altri. Ma nei giorni successivi da questa inesorabile crisi che mi
sembrava pressoché fatale, anche senza medicine la ho miracolosamente
scampata. Anche la mattina della S. Pasqua 9 Aprile del 44 ci siamo svegliati
con un nostro compagno morto per fame e stenti. Sempre per citare qua
e là qualche episodio, in questo continuo infernale tenore di vita,
di indicibili sofferenze e di morte, rammento che , un ragazzo biondo
degli Alpini in piena estate mentre eravamo inquadrati davanti le baracche
per andare in fabbrica, cadde per terra mordendo la polvere in maniera
raccapricciante prima di morire. Siccome i nazisti obbligavano al lavoro
coatto anche gli ammalati, un’ altro compagno appena ritornato in
fila dalla fabbrica la sera ,si sedette sullo sgabello e dopo avere mangiato
avidamente quel pò di brodaglia incondita di rape e farina scura
mori’ subito.
In pieno inverno ci hanno tolto la nostra divisa grigio verde già
ridotta a brandelli e scarpe militari e ci hanno fatto indossare una specie
di tuta viola quasi trasparente e zoccoli di legno Olandesi. Cosicché
con manto stradale ghiacciato e luccicante come una lastra di vetro, senza
un minimo senso pratico di calzare quei maledetti zoccoli (premettendo
che era stato fatto tutto ad arte dalla gestapo ), si era costretti a
portare il passo marziale militare all’unisono e tra l’altro
chi cadeva per terra in maniera infelice, se la doveva giocoforza vedere
con i colpi di calcio del moschetto ecc. ecc.
Allora per evitare ciò e portare il passo possibilmente regolare
ci li toglievano portandoli in mano e si camminava a piedi quasi ignudi,
calze o stracci di ogni genere racimolati precedentemente in giro e legati
con lo spago od altro che si improvvisava.
Come ebbi a dire alla Commissione della Presidenza del Consiglio in Piazza
Dalmazia attraverso una mia sommaria relazione olografa, gli sventurati
nostri fratelli che morivano per fame ed estremi efferati maltrattamenti
fisici e morali di ogni sorta sino all’incredibile , provvisoriamente
venivano messi in un unico rifugio fatto costruire appositamente da noi
stessi e che nei giorni successivi venivano portati via da un tedesco
civile anziano con un carro qualsiasi e cavallo (sottinteso non quello
regolare funebre) lasciando in noi credenti la dogmatica puntuale preghiera
finale della recita del S. Rosario nei loro confronti ed il silenzioso
mesto pensiero: oggi tocca a te e domani forse a me. Una mattina di freddo
e neve, con inusitato premuroso interesse di ignobile ipocrisia nei nostri
riguardi, a circa 80 di noi ci fecero salire frettolosamente su due autocarri
e con il pretesto che ci avrebbero fatto sottoporre ad una regolare doccia,
ci condussero lontani fuori Berlino in un grande caseggiato pian terreno
con un’ immenso salone senza finestre; ci fecero spogliare e contemporaneamente
nel condurci in un lungo corridoio aprirono le docce con l’acqua
fredda addosso a noi, ma a questo punto non abbiamo esitato di accorgerci
con non poco sbigottimento pervaso di comprensibile confusione, cioè
che si trattava soprattutto di altre camere attigue ove vi erano istallati
i tubi a gas.
Però ce ne siamo nel contempo accorti attraverso i loro manifesti
atteggiamenti che allo ultimo momento telefonicamente hanno avuto contr’ordine
da Berlino , hanno regredito naturalmente da quella funesta intenzione
, ci hanno riportato rabbiosamente nel primo salone di cui sopra e zuppi
di acqua fredda senza possibilità di asciugarci ed esposti fra
l’altro alla corrente fredda delle finestre, ci hanno lasciati nudi
per circa un’ora a ballare la danza della sofferenza sotto lo sguardo
sogghignevole di alcune belve umane nazisti che ci custodivano.
La sintomatologia con cui veniva eloquentemente caratterizzata e preceduta
la mortalità specialmente nel lager di Falchensè, per ovvie
ragioni di personale delicatezza , ossia per non impressionare eventualmente
in guisa sfavorevole i Vostri pensieri mi limito a sottolineare che le
nostre persone umane eravamo ridotte pressoché in figure macabre
pietose .Sovente succedeva che durante od in seguito ai bombardamenti
a tappeto su Berlino effettuati da parte degli Americani si presentavano
al nostro campo elementi della S.S. giovanissimi in divisa unitamente
ad anziani in borghese con la caratteristica fascia di riconoscimento
al braccio , sempre animati di maggiori sistemi di inqualificabile efferatezza
per attingere rinforzi passando cosicché in aggregazione temporanea
che poteva durare anche oltre 20 giorni circa alle loro ostiche dipendenze
disseminati qua’ e là secondo le loro esigenze di zone in
piccoli lager segreti rimasti assolutamente sconosciuti sia a noi protagonisti
diretti che alla Croce Rossa Internazionale di Ginevra . Quivi quasi giorno
e notte a frustate e calci ci spingevano per sino nel fuoco nel tentativo
di salvare loro materiale di ogni sorta anche nei pressi della Cancelleria
di Hitler od Alessander Plaz.
Quando si finiva di sgombrare le macerie spesso fumanti di una Via di
Berlino , immediatamente tutti insieme raggruppati come bestie si doveva
correre veloci ed ansimanti per intervenire secondo loro in un altro posto
maggiormente vulnerabile , e quindi in questo spazio materiale di tempo
costantemente incalzati dalle frustate e legnate , guai specialmente per
quelli che in un modo o nell’altro si rimaneva nei laterali o addirittura
si cadeva per terra .
Anzi a questo punto non permettevano che si tendesse la mano di un minimo
aiuto solidale fra noi a chi si trovava oggettivamente in maggior difficoltà
, perché si trattava di subire un colpo del calcio di moschetto
sul braccio.
Alla loro insaputa sulle spalle ci si sistemava reciprocamente alcuni
stracci sotto la camicia e giacca , poiché in questo modo di astuzia
e siccome quasi sempre si era intenti a testa in giu’con pala e
piccone al lavoro coatto,, ogni qualvolta che si cercava di alzare la
testa qualche istante per prendere respiro , la frustata con cui essi
infierivano nei nostri confronti ci arrivava un po’ attenuata.
Per quelli purtroppo meno fortunati che non facevano più fatalmente
ritorno ai campi permanenti, le presumibili giustificazioni fra loro erano
ovvie.
Ebbene mi sembra che sia cosa nota il fatto delle ricerche affannose se
si trovava anche un minimo di possibilità di reperire nelle immondizie
e nei fusti della spazzatura bucce di patate , pezze di carote, rape ecc.
ecc. anzi vi erano delle volte in cui si scendeva con la mano sino al
fondo tastone e si ci trovava poi con la mano insanguinata perché
facilmente si incontrava qualche pezzo di vetro o altri elementi taglienti
.Infatti in una di quelle volte mi sono reputato quasi fortunato , in
quanto accanto alla stessa Alhett all’esterno avevo trovato una
discreta quantità di bucce e piccole patatine e mentre mi trovavo
intento a raccogliere per terra a faccia in giù, da parte di un
nazista in divisa nonché un giovane alto e robusto della gestapo,
mi venne scaraventata un pezzo di tavola pesante secondo loro in testa
con lo scopo precipuo di uccidermi , ma fortunatamente hanno preso il
bidone di legno a fianco a me spezzandolo .
A questo punto nel farmi rialzare facendomi svuotare le tasche posteriori
dove di solito si mettevano le bombe a mano in guerra , mi fu dato un
forte schiaffo da quello della gestapo che mi provocò un grande
stordimento tale da farmi perdere i sensi con uscita di sangue dalla bocca
ed ancora prima che mi rinsavissi mi ricondussero in fabbrica , mi hanno
tolto quella regolare magra porzione di vitto per 48 ore , si alternavano
il cambio e le consegne e sono stato messo ai peggiori lavori forzati
con trasporto di pezzi di assi di carri armati tigre facendomeli ammucchiare
tutti insieme e poi di nuovo riportarli al posto di prima mediante frustate
.
Vi fu un momento cruciale però in me di estrema confusione cioè
di non reggere più quel barlume di speranza che avrei anche potuto
sopravvivere a tante sventure e secondo la grazia di Dio riabbracciare
i miei e cosi’nel trovarmi sul mucchio degli assi , nel momento
in cui egli si trovava distratto a guardare per un’altra parte,
il pezzo che tenevo faticosamente sulle spalle concentrando tutte le mie
forze ,vi fu quell’attimo in cui la avrei voluta fare finita fracassandolo.
Ma la grande fede nello stoicismo Divino secondo la encomiabile scuola
di Zenone mi ha salvato. Forse perché segnalato e seguito in maniera
speciale, in un solo episodio che ci tengo a segnalare altrimenti si andrebbe
all’infinito e per chi non ci è per fortuna passato in mezzo
sembrerebbero rivelazioni iperboliche , mentre mi trovavo all’ultimo
campo di Bohnsiwalde nella vicina fabbrica Iacomann sempre attinente all’Alchett
consistente in una delle più grandi fabbriche per carri armati
tigre e per non parlare della mortalità e feriti in genere causati
dai massicci bombardamenti degli Americani , poiché le nostre stesse
baracche erano ubicate vicinissime agli obbiettivi bellici, con la mano
destra gonfia come un tamburo ed attanagliato dal dolore, giocoforza dovetti
fare presente al mio capo reparto che anche con tutta la propria buona
volontà, mi sarei potuto limitare soltanto un secchio con la mano
sinistra anziché due della famosa acqua bianca da versare nei macchinari,
ma qui per risposta sarcastica accompagnata da un reciso no mi fu arrecato
un forte schiaffo finendo per terra a calci anche quella volta .In preda
di una interiore esasperazione mi sono rivolto contemporaneamente al vicino
direttore , ma quest’ultimo che con il sogghigno sulle labbra aveva
seguito attentamente l’usitata scena quotidiana generale , anch’egli
solidale con il suo subalterno con espressione altrettanto arcigna mi
rispose perentoriamente: Svai stic vasser , ossia due secchi di aqcua
accompagnandomi a schiaffi e calci sul lavoro. A questo punto la mia mano
che era già da tempo grave e quasi inguaribile perché piena
di infiammazione , non appena ha subito lo sforzo del secchio pesante
, scoppiò la parte cutanea della pelle esterna scaturendo un’impressionante
uscita di puzzo e sangue in una tale abbondanza che i compagni più
insensibili rimasero meravigliati.
Finalmente fui condotto in infermeria ed accompagnato alle baracche da
un poliziotto , poiché un altro caso analogo patogenico in quello
stesso periodo ci lo avevo anche alla nuca .
Ripeto frattanto come dicevo poc’anzi che , per molteplici comprensibili
ragioni concernenti eventuali impressioni di queste cose lucubri, Dio
Onniveggente sa come mi sarei voluto veramente astenere nel fare simili
parziali rivelazioni , forse giudicate non edificanti e poco civili, ma
psicologicamente non posso prescindere nel precisare ancora una volta
che, la morte inesorabile falciava quasi quotidianamente moralmente e
materialmente le nostre vite umane , veniva caratterizzata prevalentemente
e soprattutto preceduta da gonfiore alle gambe, fuoruscita attraverso
fori sull’intero corpo martorizzato di sangue già andato
in semiputrefazione. Ciononostante oggigiorno pur non essendo più
di moda nella nuova gioventù, si preferiva morire in perfetto ordine
con la propria coscienza in un' animo, di sublime e suadente abnegazione
rifiutando recisamente con odio implacabile le loro assurde angherie e
proposte di collaborare nelle loro file come per il passato ripristinando
un fraterno trattamento di alleanza , cancellare anche in parte l' ingrato
tradimento armistiziale nei confronti del nostro Re Vittorio Emanuele
III ed il Gen. Badoglio.
Ma noi reputandoci autentici Soldati Italiani , fieri ed orgogliosi che
si costituiva gelosamente quell' atavico indissolubile retaggio di invitta
fedeltà al nostro Paese anche in quelle tenebrose circostanze infernali
, non si pensava un'istante di ammainare la nostra fedeltà alla
Patria ,al nostro Sacro giuramento ed alla Casa Savoia , anzi io personalmente
spesse volte pur essendo consapevole d'un possibile rischio di essere
passato per le armi come sospetto cospiratore , esortavo i propri compagni
a tenere duro tenacemente nel nostro ideale senza lasciarsi vincere da
eventuale tentazione ecc. ecc.
A proposito , durante il proficuo mandato Presidenziale del nostro amato
Presidente della Repubblica On. Antonio Segni che io ho avuto il sommo
piacere di conoscere personalmente quand'ero in Polizia in una collettiva
amichevole e fraterna conversazione immediatamente dopo il suo discorso
al Teatro Carlo Felice di Genova , ed in quel periodo Egli era stato in
Germania Occ.le ove in tale occasione ha presenziato alle apoteosi di
una Cappella Votiva a perenne ricordo e testimonianza dei nostri deportati
rimasti vittime con il loro eloquente olocausto per quel radioso principio
inestinguibile di Libertà storica universale.
Ebbene in tale circostanza , oso dire timidamente sembra che il governo
Tedesco in quell'epoca abbia erogato una cospicua somma da distribuire
con equa razionalità ai sopravvissuti di quelle disgraziate vicende
storiche a titolo di un parziale risarcimento dei danni morali e materiali.
Ora in rifacimento alla Legge 6. 10. 1963 N°.2043 G.U.N. 16 del 21.
1 . 1964 subordinata alla Legge successiva 18. 11. 1980 N°. 791, nel
1982 ho inoltrato analoga domanda tendente ad ottenere il noto assegno
vitalizio contemplato dalla stessa Legge.
Senonché la Commissione di Piazza Dalmazia istituita probabilmente
dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella riunione del Maggio
1985 ha decretato senza alcuna alternativa nei miei confronti che io non
avrei fatto parte di quei famigerati campi di sterminio K.Z.
Non so se questi Illustri Signori siano a conoscenza tra l'altro che Hitler
a differenza che la Germania nella guerra del
1915-18 dovette cedere anche per la fame, ma che questa volta aveva ammucchiato
tanti viveri in genere nei magazzini di Berlino con la piena convinzione
e fantasia di fare resistere ad oltranza come quasi una seconda Troia
ed in questo spazio di tempo materiale si vociferava che avrebbe voluto
tentare ancora alla realizzazione della sua sospirata bomba atomica. Allora
io per primo di alcuni nostri campi, Francesi, Olandesi ,Greci, Russi
ecc. tutti prigionieri internazionali compresi Tedeschi di ogni età
che ci comandavano e la gestapo, già alcuni mesi prima dell'arrivo
dell'Armata Rossa ci facevano lavorare alacremente e senza sosta, sia
turni prolungati di giorno che di notte sotto i fanali per l'illuminazione
facendoci costruire consistenti barricate in pietra e legname e trincee
in tutte le strade che confluivano nel cuore di Berlino ma che pero' i
Russi all' opposto di ciò hanno conseguito in maniera inarrestabile
ugualmente il loro successo militare.
Nell'estrema esasperazione del loro deleterio destino della perdita della
guerra, non si capiva più niente in quei frangenti, addirittura
l'esercito tedesco comandava poco e niente, tutto era affidato alla S.S.
ed la Gestapo, mettevano al muro qua' e la' per cose futili, consapevoli
del oro destino entravano perfino nei campi sparando all'impazzata e senza
misericordia.
Accludo anche questa piastrina in ferro che reca che reca il N.111625
con il relativo laccio logorato la quale mi faceva costantemente compagnia
in tutte quelle torbide estreme contingenze di cui sono stato costretto
enumerare alcuni episodi salienti, anzi Iddio nella Sua Maestosa sublime
ubiquità potrà essere l'unico in proposito ad affermare
questa assoluta testimonianza.
Patti, 5-8 1989
Gaetano Ferlazzo
3)
........... Potendo tornare indietro materialmente nel tempo anteriore
al 1945, constatare per ciò che concerne principalmente il mio
caso insieme ai miei consimili, penetrare con inusitata sagacità
in quell’indescrivibile corso infernale dei campi HZ occulti qua’
e là e di indicibile sofferenze di morte a Berlino sotto le direttive
delle SS riflettenti gli ordini perentorici di Hitler accompagnati da
una premeditata inesorabile efferatezza. Non si può immaginare
attraverso la fantasia ciò che veramente succedeva nel lager del
III. D ed in quelli occulti dai 15 ai 20 giorni al mese circa in stato
di aggregazione secondo le loro disumane esigenze alle dirette dipendenze
delle SS o Gestapo di Hitler. Non si può essere a conoscenza di
certi dolorosi episodi incancellabili per la nostra mente, ossia, quando
in questi campi malebolge compreso quello di Falchense, si veniva scaraventati
violentemente fuori dalle baracche, inquadrati militarmente, compresi
gli ammalati riluttanti a morire, all’inclemenza del freddo sulla
neve, fermi in una marziale posizione di attenti per circa mezz’ora.
Come non riusciva a penetrare nemmeno la Croce Rossa Internazionale di
Ginevra nei sistemi e segreti assoluti di quel popolo Teutonico verso
il quale tuttavia non nutro alcun odio ma perdono ed amore Cristiano,
non potete che ignorare totalmente ciò che si verificava con eccessiva
indiscriminata efferatezza nei nostri confronti da parte dei nazisti H
Z, cioè nelle interminabili strazianti settimane successive a quella
Domenica del 20 Luglio 1944 in cui avvenne l’attentato a Hitler,
esattamente come se fossimo stati una parte di noi i responsabili morali
e materiali, ossia protagonisti di quell’attentato, ci buttavano
per terra sovente e ci calpestavano anche morenti con i loro caratteristici
talloni di ferro , solamente per la voglia sfrenata, capricciosa ed implacabile
di uccidere. Anche nei periodi invernali rientrando la sera dal lavoro
nei lager, a loro dire, adducendo futili pretesti per punizioni banali,
spesso una terza parte circa del nostro contingente del campo, prima di
effettuare la distribuzione serale di quella brodaglia, carponi ed esattamente
con ginocchia e gomiti tutti in fila indiana si era costretti a girare
all’interno dei reticolati del campo mestamente illuminato dai riflettori
per due volte sulla neve semi gelata cui si doveva valicare dolenti o
nolenti.
Patti, 2-5-1990 Ferlazzo
Gaetano
4)
Il 15 Dicembre 1943 giunto nel Campo di smistamento di Luchenvalde ove
eravamo 31000 di ogni arma e grado dell’Esercito compresi alti Generali
che tra l’altro in una drammatica confusione silenziosa si faceva
tutt’insieme la fila per prendere con le proprie scodelle quella
specie di brodaglia insipida. Ebbene in quei giorni successivi il Comando
Tedesco diede luogo alla nostra grande mesta adunata che utilizzando un
Tenente Italiano sembra dell’aviazione che lo hanno fatto parlare
dal palco esortandoci ha preferire pressoché la continuazione fraterna
della collaborazione come sempre al loro fianco di fedele alleanza anziché’
i Campi di Concentramento, cancellando con il nostro gesto secondo loro
l’infame ignobile armistizio del nostro Re Vittorio Emanuele III
e della Casa Savoia. Ma noi in una austera compostezza oltremodo commovente
di inquadramento Militare, ossia primi Generali, Colonnelli, Ufficiali
di grado inferiore ecc. ecc. a questo punto tutti coerenti al retaggio
della nostra ferrea disciplina, al prezioso Ideale di amore inflessibile
incondizionato per la nostra Bandiera considerando la giammai ammainata
nell’animo nostro nei confronti di quei frangenti, insomma gelosi
custodi del giuramento all’unisono ogni qualvolta che si sentivano
pronunciare dall’oratore parole sconnesse di ingiurie ed improperi
contro il Re e la Casa Savoia, con eloquente laconica risposta si assumeva
una risuonante compatta posizione di attenti da rompere i timpani ai tedeschi
e lasciandoli allibiti come nostra esplicita reazione contrariamente a
ciò che essi si aspettavano. Pertanto, nello stesso pomeriggio
essendo stato notato inopinatamente da un poliziotto tedesco mentre ero
intento animatamente a fare commenti sfavorevoli in mezzo agli altri compagni
militari contro il volgare stratagemma dei tedeschi, a spese del nostro
legittimo onore della propria divisa a questo punto nonostante la mia
parziale discolpa di ciò adducendo il pretesto cui si trattava
oggettivamente la discussione, di cose eterogenee tra noi soldati, fui
condotto ugualmente in Ufficio e scritto il mio nome in un apposito registro.
Infatti inviandomi successivamente per tutta la durata della mia prigionia
nei più disgraziati Lager. Difatti la sera del 2 Dicembre 1943
mentre il proprio Campo di Rudolf Berlino veniva bombardato ed incendiato
con spezzoni dagli Americani un tedesco mi colpi’ tra l’altro
violentemente con un calcio di stivali nel sedere provocandomi una lesione
all’osso sacro con pessime conseguenze di strascichi dolorosi per
la durata di alcuni anni non solo ma in tale circostanza chissà
perche’ ha regredito dall’idea di uccidermi decisamente a
colpi del calcio del moschetto allorché contemporaneamente mi vide
prostrato genuflesso per terra nel fango. L’uno con l’altro
alcuni di noi aiutandoci reciprocamente, si ci sistemava dietro le spalle
sotto la giacca ed all’insaputa dei tedeschi stracci e qualche pezzetto
di coperta cui si racimolava qua’ e la’ formando una specie
di cuscinetto affinché si potessero riparare in parte le legnate.
Ad esempio finita di sgomberare una zona od strada in Berlino ,salvare
insomma qualsiasi cosa che bruciava in seguito ai bombardamenti e che
nel contempo ci spingevano quasi in mezzo alle fiamme facendoci sfidare
l’impossibile con odioso disprezzo della nostra vita, come dicevo
poc’anzi, per spostarci inquadrati da una parte all’altra
laddove c’era la necessita’ del nostro intervento, macilenti
per l’estrema fame ed avviliti, eravamo obbligati di correre acceleratamente
e guai per coloro che affannosamente rimanevano indietro o si inciampavano
cadendo per terra, perche’ ragazzi nazisti, magari inferiori ai
20 anni bastonavano selvaggiamente sempre nel campo di Briz in seguito
al nostro trasferimento da quello precedente distrutto ove si dormiva
in quest’ultimo poche ore di notte sulla paglia completamente bagnata,
essendomi ammalato ed in conseguenza avendo chiesto visita dalle 7 di
mattina e fino alle ore 10 ossia in cui venne un Maggiore Medico Francese
anch’egli prigioniero, per tutta la durata di quelle tre lunge ore
siamo stati messi fuori dalle tende sulla neve in parecchi facendoci formare
un grande cerchio consimile ad un’aia ove si trebbia il grano, un
tedesco in mezzo con la frusta che si alternavano il cambio e noi tutti
in fila indiana correndo e cadendo per terra sfiniti per far si che nei
giorni successivi altri eventuali ammalati attraverso quella infame azione
teutonica venissero dissuasi. Poiché giorni dopo fummo trasferiti
nel Lager di Falchense. Finalmente di nuovo nelle baracche e brande di
legno in due a Castello, esattamente a 2 chilometri circa dalla grande
fabbrica di carri armati Alchelt ove venivano adibiti al lavoro coatto
ossia una settimana di notte e una di giorno ed a questo punto si premette
che quando si faceva la notte, di giorno si poteva dormire si e no un
paio di ore ed il resto adibiti a costruire rifugi antiaerei. Ritornando
indietro appena giunti nelle nuove baracche, haimé rammento che
un collega di sventura siciliano Feo Giovanni morendo disse: ” Ragazzi
qui ci hanno portato a morire.” Infatti in quella prima fatidica
mattina di gelido Gennaio io ancora ammalato con febbre alta di bronchite
asmatica, già contratta nel campo precedente cui ho fatto cenno,
all’adunata davanti le baracche per la prima partenza per il lavoro
in fabbrica, nel fare presente delle mie condizioni di salute, in cui
mi trovavo e che mi reggevo a malapena in piedi , un soldato nazista mi
prese a schiaffi, mi scaravento’ per terra violentemente, mi calpesto’
persino sulla faccia e sul petto con gli stivali, mi fece indi rialzare
rimesso in fila e condotto sul posto di lavoro insieme agli altri alle
macchine. Qui pero’ un bravo giovane tedesco biondo, ebbe pietà
di me e delle proprie condizioni di salute in cui mi trovavo disperate
e mi disse senza mezzi termini: Tu sofil crank (molto ammalato) offrendomi
a questo punto una fettina di pane con margarina e mi nascose senza farmi
lavorare. Dopo questo primo episodio mi sono aggravato e di conseguenza
nei giorni successivi fui accompagnato all’infermeria a piedi a
circa 1500 metri di distanza ove c’era un Tenente Medico Italiano
il quale mi disse; offrendomi un tubetto di pastiglie color marrone dolce;
da parte mia ti metto in assoluto riposo ma tu mi soggiunse ma tu sia
chiaro, in maniera indispensabile avresti bisogno dei medicinali per curarti
che io qui non ho a mia disposizione e non posso aiutarti oltre a ciò.
Ebbene, per le condizioni fisiche emaciate come me o meno che pesavo 40
chili circa, chiunque cadeva in disgrazia di malattia, nel mio campo ero
destinato inesorabilmente a morire, ma io miracolosamente mi sono salvato
con la preghiera viva nel cuore e con la fede incrollabile .Quando gli
ammalati venivano accompagnati all’infermeria, durante il tragitto
arduo (traguardo) non ci era permesso categoricamente di aiutarci tra
noi prendendo a braccio per sorreggere il più grave, si perche’
era un colpo di calcio del moschetto sia all’uno che all’altro
e calci nel sedere perche’ con tale volgare coercizione si era obbligati
a camminare da soli.
Sotto l’inclemenza del freddo in pieno inverno ci fu tolta la propria
divisa militare di panno grigio verde e le scarpe sostituendole con una
tuta blu’ leggera e zoccoli di legno tipo olandese. Durante il tratto
di strada dalle baracche alla fabbrica, con un pavimento uguale all’asfalto
luccicante di gelo cristallizzato si era obbligati a portare il passo
e la cadenza militare ed a questo punto anche i nazisti che ci accompagnavano
con il fucile spianato eravamo pienamente consapevoli che giocoforza si
doveva perdere l’equilibrio cadendo alcuni per terra od incapaci
di guidare il proprio passo cadendo per terra. Allora qui si trattava
di calci, ingiurie e colpi del calcio del moschetto. Quindi per evitare
quest’altro triste inconveniente, si ci toglievano i zoccoli. Li
portavamo per mano e durante la strada si camminava a piedi ignudi avvolti
magari nei stracci sul ghiaccio. Per futili motivi infondati escogitati
dal capo campo ci mettevano all’improvviso tutti fuori inquadrati
ed immobili sulla neve in posizione di attenti per mezz’ora circa
consecutiva.
Eravamo in questo lager un contingente di 400 circa, un vero e proprio
spettacolo di figure macabre all’impiedi. La morte che mieteva i
meno fortunati dei sopravvissuti in quella malebolge veniva preceduta
prevalentemente da gonfiore alle gambe, mani ecc, ecc. con qualche grosso
foruncolo a forma di buco alle spalle da cui scaturiva sangue marcio.
Venne pure la Commissione Internazionale costituita da Svizzeri e Tedeschi,
ci hanno messo tutti inquadrati ed alcuni furono portati via sembra in
posti di cura. I cadaveri di tanti poveri fratelli colpiti dall'infausta
disgrazia venivano messi in un unico rifugio coperto da noi stessi che
per alcuni giorni veniva un carro con un cavallo e li portava via accompagnati
indubbiamente dalla nostra fraterna preghiera collettiva ed il S. Rosario
recitato da un certo Bolla Elisco. Non potrò giammai dimenticare
che il 9 Aprile del 1944 giornata della S. Pasqua di Resurrezione, noi
al pari dei tedeschi che non abbiamo lavorato in fabbrica era splendidamente
soleggiata, ma anche infausta mattina per noi fu estremamente grigia,
ci pervadeva costantemente quel profondo indescrivibile patema d'animo,
perplessi ed ammutoliti ci guardavamo in faccia l'uno con l'altro come
se ciascuno di noi avesse perso ogni barlume di speranza, con il cuore
in petto affranto da ogni triste prospettiva di sopravvivenza, appunto
anche perché quella mattina ci svegliammo con un collega morto
nella nostra baracca.
Gaetano Ferlazzo
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