E PER IDEOGRAMMA UNA FARFALLA

La parola che ritorna, il gesto ripetuto, l’aggettivo più abusato, l’oggetto imprestato dalla vita comune o dalla natura (Chi non ricorda ossi di seppia ?) sono divenuti il simbolo di certa pittura e poesia o altra espressioni artistiche.

Il naive di Sicilia, Ferlazzo, adotta una farfalla per suo ideogramma. La farfalla - vanessa dai colori cangianti, bijou miniaturizza to di colori esitati da una tavolozza non comune, la Natura, per una volta Madre generosa. E a lui pittore in piena luce, nelle campagne fuori Patti, non è mancata l’emozione di trattenere una farfalla tra i polpastrelli delle dita e incauto asportarne dalle ali piccoli campioni dei suoi colori svariatissimi e vivacissimi. Le visite, a quanto pare, erano familiari come tra fiori, tanto che un giorno, racconta la soglie una farfalla scambiò i fiori del suo quadro, un quadro appena ultimato, per veri e vi si librò procurandogli l’emozione più rara, quella di leggersi tra le righe di un critico svolazzante, mellifluo con la sua arte. Ciò che della rassegna dei suoi quadri colpisce il visitatore, di mestiere non critico, sono le composizioni di fiori e frutta e quei medaglioni da vasi ottocenteschi ( non è il periodo al quale il Ferlazzo era più attento ?) e tra i tanti quello dei cervi di rara potenza, abbinata all’esile leggerezza dei fiori, i papaveri, i girasoli. Diverse dalle composizioni di cesti con frutta in cui si compone l’equilibrio delle forme con la fantasia dei colori o meglio con la solarità dei suoi colori che non poteva non colpire nel segno la tavolozza mediterranea di Michele Spadaro. E l’accoppiata mi fa venire in mente Luzzara con la sua annuale mostra di naif e la reclamizzata cartolina del maestro Zavattini che di peso, ammiccante, con le sue spalle fa da soppalco alla città. Fece da anfitrione romano al Ligabue, naif primitivo selvatico e prorompente, portato a Roma a farsi conoscere, constretto entro la forma rigida delle scarpe e del vestito, fin’allora vissuto in mia provincia dove solo lui, genio matto, sapeva che i suoi quadri avevano più sale delle minestre scodellategli cambio dei suoi quadri.

I parenti prossimi e lontani del Ferlazzo, la sua provincia e la sua ricerca dei colori in piena luce, sono tratti e luoghi comuni a tanti artisti che solitariamente e certosinamente hanno ricercato la propria "pittura". C’è una sorta di avarizia nel suo non darsi al mercato, nel Ferlazzo primo estimatore di se stesso che adesso si vuol far conoscere prima che la memoria si disperda.

La provincia è luogo di sperimentazione per eccellenza, il luogo eletto da pochi e sottratto al calpestio delle masse e dei visitatori, rivelata attraverso i colori mediati dal genio - personaggio come lo erano un Ligabue da Luzzara o un Van Gogh di Provenzata cui sembra essere vicino il naive di Sicilia per certo genere di pittura e tecniche di colori. Colori che in Ferlazzo cambiano d'incanto "finesse" e “geometrie”, facendone di lui un "naitre à penser " dei colori. La sua provincia è la vallata del Timeto; osservatorio: la casa nascosta tra gli ulivi. Vallata assolata e ventosa, dove i due agenti, sole e vento, specie nei meriggi di settembre, quando i temporali spazzano la calura estiva, ritagliano cieli di cristallo come in "l’oliveto con pascolo di cavalli e papaveri" (1985). Del suo cielo il Ferlazzo annota, come d’abitudine per ogni quadro: “Queste nuvole si formano veramente in alcune circostanze particolari atmosferiche”. Accanto alla ricerca dei colori c’è l’osservazione della natura resa mediante la fantasia dell’artista, pittore, come gli impressionisti, "en plein air ", in piena luce legato ai ritmi naturali dei luoghi natii: Segreto e Scattiola, alla vallata del Timeto. I suoi fiori, frutti, natura morta prima collocati su tovaglie di velluto o tavoli stile ottocento, oggetti propri di un certo stile classico, via campeggiano su estesi campi di grano con papaveri e il racconto si compone di campiture fatte di paesaggi ora familiari ora lontani e inventati che il Ferlazzo, in certe sue annotazioni, chiama belle favole, l’aspirazione a un mondo possibile, alternativo ai ritmi della vita e della cultura urbana e forse appena fuori città.

Giuseppe Alibrandi